Nel contesto della liquidazione giudiziale, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha sostanzialmente mantenuto l’impianto normativo della precedente Legge fallimentare, recependo nei nuovi articoli 163 e 166 i contenuti già previsti dagli articoli 64 e 67. Le modifiche introdotte sono quindi formali, con la sostituzione della terminologia “fallimento” con “liquidazione giudiziale”, ma non sostanziali. Di conseguenza, l’evoluzione applicativa è rimessa in larga parte all’elaborazione giurisprudenziale.
Tra gli atti a titolo oneroso potenzialmente soggetti a revoca da parte della procedura, l’art. 166 CCII menziona in particolare i pagamenti di debiti esigibili effettuati con modalità considerate “anomale”. Il comma 1, lett. b) prevede espressamente la revocabilità degli “atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento”, se avvenuti dopo il deposito della domanda poi seguita dall’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno precedente.
La norma non fornisce un elenco esaustivo dei mezzi di pagamento considerati anormali, limitandosi a specificare che devono essere diversi dal denaro – il mezzo ordinario per eccellenza – e da strumenti equiparabili, come gli assegni. La giurisprudenza ha quindi assunto un ruolo centrale nell’individuare i pagamenti da considerarsi non usuali nella prassi commerciale.
La logica sottesa alla norma è chiara: se un debitore ricorre a modalità di pagamento atipiche, è sintomo della sua difficoltà economica, il che implica che il creditore, ricevendo il pagamento, potrebbe ragionevolmente esserne a conoscenza. Per evitare la revoca, il creditore ha due alternative: dimostrare di ignorare lo stato d’insolvenza, oppure provare che il pagamento rientrava nei “termini d’uso” previsti dalla lett. a) del comma 3 dell’art. 166 CCII, ovvero in una prassi commerciale consolidata tra le parti.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, precisando che il pagamento si considera effettuato secondo termini d’uso anche se avvenuto in tempi o con modalità difformi da quelle contrattuali, purché coerente con le consuetudini tra le stesse parti nel corso del rapporto (Cass. 27939/2020, Cass. 12837/2023, e successive conferme).
La giurisprudenza ha inoltre elencato una serie di strumenti considerati anormali, quali la cessione del credito, la datio in solutum, la cessione di beni ai creditori, la procura a vendere con trattenuta del ricavato e la delegazione di pagamento. Tuttavia, si tratta di una presunzione relativa: il creditore può evitarne la revoca provando che si trattava di un mezzo abitualmente utilizzato nei rapporti tra le parti.
- 1. Cessione del credito
La cessione di credito, specialmente se effettuata pro solvendo per saldare debiti già esigibili, è generalmente considerata uno strumento di pagamento anomalo. La sua revocabilità può essere esclusa soltanto se la cessione è prevista sin dall’origine come modalità ordinaria di adempimento o se è ricorrente nella prassi tra le parti (Cass. 14002/2018; Trib. Milano, 06/03/2023 n. 303).
- 2. Datio in solutum
La datio in solutum consiste nel soddisfacimento del credito con un bene diverso da quello dovuto. L’anomalia risiede nel fatto che spesso il bene ceduto non rientra nell’attività d’impresa del debitore e determina l’uscita di un’attività patrimoniale senza contropartita in denaro. La Corte di Cassazione ha riconosciuto che la datio in solutum può essere soggetta a revocatoria ordinaria anche se effettuata oltre l’anno antecedente l’apertura della procedura (Cass. 13227/2024).
- Cessione di beni ai creditori (Cessio Bonorum)
Diversa dalla datio in solutum è la cessio bonorum, che prevede la cessione dei beni ai creditori con mandato alla liquidazione e riparto. Anche questa modalità, se non svolta nell’ambito di una procedura concorsuale, è considerata anomala per via dell’assenza di una contropartita diretta in denaro e perché altera la parità tra i creditori. Tuttavia, se la cessione avviene nell’ambito di un concordato preventivo, è esente da revocatoria (art. 166, comma 3, lett. e CCII).
- Delegazione di pagamento
Nella delegazione di pagamento, un terzo paga un debito al posto del debitore su mandato di quest’ultimo. Tale operazione è considerata anomala se il terzo utilizza fondi del debitore o, pur usando fondi propri, esercita l’azione di rivalsa prima dell’apertura della procedura. Anche in questi casi, la giurisprudenza ha riconosciuto l’assoggettabilità a revocatoria fallimentare (Cass. 13165/2020; Cass. 30254/2024).
Conclusioni
Le disposizioni dell’art. 166 CCII rafforzano la posizione del curatore nelle azioni revocatorie, imponendo al creditore un onere probatorio particolarmente gravoso. L’unica possibilità concreta per quest’ultimo di sottrarsi alla revoca è dimostrare l’utilizzo abituale dello strumento di pagamento, circostanza che nella pratica risulta spesso difficile da provare. In mancanza di elementi certi, le controversie tendono frequentemente a concludersi con accordi transattivi.